GIARRE
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Lasciando alle spalle l'orrido delle lave di Màscali, un profumo
delicato ed esotico t'accoglie. La strada taglia in due la distesa
dei limoneti, verde a perdita d'occhio. È
il Giardino degli Arabi, che odora d'oriente e alla rugiada apre
zàgare e gelsomini, doni di Allah.
Superato
il pozzo di Ruggero, alla curva Giarre appare, d'un tratto. Distesa
come un gigante sonnolento, la testa appoggiata alle falde dell'Etna
e le gambe penzoloni alla frescura del mare. Qui sorgeva (forse) la
“bella città”, la Kallipolis per sempre spofondata nel silenzio
dei secoli.
Annusi
l'aria, frughi disperamente nella memoria dell'infanzia. A volte un
profumo obliato basta a tendere i sensi, a farti impazzire di
tenerezza.
Se
ascolti, da un balconcino schiuso una nenia araba ti stordirà; se
guardi, la ragazza dalle trecce corvine ti fisserà con occhi di
lepre mansa. È
il profumo della zàgara che la induce a osare.
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