ACI TREZZA
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Dalla spiaggia nerastra di sciara, la solitudine dei faraglioni. Le
barche degli sparuti Bastanazzi ormai fanno soltanto folklore. Ai
tavoli dei bar, i ragazzi fumano e bevono birra, parlano in lingua,
dicono “ciao!” ai genitori.
In
altri tempi, si diceva al padre: “Vossìa mi benedica!”. Anche il
servo diceva: “Vossìa mi benedica” al padrone. Pare strano, ma
gli sfruttati, i diseredati, i “vinti” imploravano, in tutte le
ore della giornata, larghe benedizioni dai loro “signori”.
“Vossìa
mi benedica” era un saluto come un altro. Il “baciamo le mani!”
di Salvatore Quasimodo al vecchio padre, invece, voleva essere
rievocazione di antichi affetti familiari da parte “di quel ragazzo
che fuggì di notte con un mantello corto / e alcuni versi in tasca”.
Anch'esso, tuttavia, non è che un ricordo.
Ben
poco è rimasto della Trezza di Verga. Le auto ostruiscono i vicoli
degli ex pescatori e i giovanotti scorrazzano sul lungomare a cavallo
di indiavolate motorette. Uno stereo, chissà da dove, diffonde a
tutto volume un assordante tam-tam e due bionde stangone teutoniche
in pantaloncini e reggiseno attraversano a braccetto la piazzuola
assolata. Un mondo è finito con la “casa del nespolo”: meglio
così!