martedì 17 novembre 2015

TORRE ARCHIRÀFI



TORRE ARCHIRÀFI La strada, all'Arco, s'incurva a cintura di Venere, costeggia il mare, lo respira. Così, sospeso nel doppio celeste, il borgo ausculta gli abissi, i venti e, con essi, talvolta, inafferrabili nenie d'oasi.
Il mare la lusinga, la contende alla terra, per farla eterna. E Torre Archiràfi ne accoglie, timorosa, la carezza, gioca a frantumarsi nel riflesso dell'onda.
Nessuno conosce il mistero della sua luce. Forse le viene dal fondo, dalla Torre sommersa. Dove vegliano, a notte, mille occhi saraceni di luna.

venerdì 13 novembre 2015

RIPOSTO


RIPOSTO Il vento intrecciò una ghirlanda di anemoni e la depose ai suoi piedi. Egli, Mongibello, scosse il capo di neve, terribile, in assenso. E fu stupore di stelle la notte. Poi fumò la sua pipa eterna, incantato fino all'alba: era l'estate calda, arieggiava chiare nuvole il cielo...
E tu nascevi al respiro dell'onda più azzurra. Nascevi terra di velieri, di paranze e di speranze, di indomiti nocchieri giramondo. Fu l'amore del Mostro a volerti così, con la grazia stizzosa d'una fanciulla che gioca con la spuma del mare.

lunedì 9 novembre 2015

GIARRE



GIARRE Lasciando alle spalle l'orrido delle lave di Màscali, un profumo delicato ed esotico t'accoglie. La strada taglia in due la distesa dei limoneti, verde a perdita d'occhio. È il Giardino degli Arabi, che odora d'oriente e alla rugiada apre zàgare e gelsomini, doni di Allah.
Superato il pozzo di Ruggero, alla curva Giarre appare, d'un tratto. Distesa come un gigante sonnolento, la testa appoggiata alle falde dell'Etna e le gambe penzoloni alla frescura del mare. Qui sorgeva (forse) la “bella città”, la Kallipolis per sempre spofondata nel silenzio dei secoli.
Annusi l'aria, frughi disperamente nella memoria dell'infanzia. A volte un profumo obliato basta a tendere i sensi, a farti impazzire di tenerezza.
Se ascolti, da un balconcino schiuso una nenia araba ti stordirà; se guardi, la ragazza dalle trecce corvine ti fisserà con occhi di lepre mansa. È il profumo della zàgara che la induce a osare.

mercoledì 4 novembre 2015

MÁSCALI



MÁSCALI Scesero mostruose branche ad avvinghiarti in un inferno rovente, immisericorde. Così la tua storia di Contea setteturrita, che conobbe fasti di Mense vescovili e sudore contadino, si fece silenzio, favola: una nera, un'amara favola.
Ora dormi sotto le bave del Mostro un sonno incantato.
Il tuo cuore antico, tuttavia, un sogno cova: «Piantate radici di viti sul mio corpo sepolto! Ah, figli, saraceni anneriti dalle mani di ferro, piantate radici di viti sopra i miei fianchi squassati! L'amore sbriciola la roccia, vince il silenzio, è più forte della morte. Piantate radici di viti!... Un'alba (chi sa quando?), superando l'orrore della notte, Màscali azzurra riaffiorerà».

lunedì 2 novembre 2015

ALCÀNTARA



ALCÀNTARA Smeralda serpe sprofondata nelle bave del Mostro. Ad incassarti tra cattedrali d'arance provvidero i millenni stalagmiti. Era l'alba del tempo, la quiete primigenia del pianeta, e tu esistevi. Esistevi, linfa ghiaccio-lucente di cupe latomie. Mentre il Mostro, emergendone, incendiava il deserto del Duemari.
Da te, che erodevi sonni di basalti, i secoli operai sedimentarono il Giardino degli Arabi; attraverso le tue Gole notturne, un réfolo di primavera trasse a valle, dono del Mostro, una candida microstella: il gelsomino.
Adesso, tra anse e dirupi, ti inarchi, urli, canti, ti inviperi, ridi. Contempli, geloso, i tuoi orrori. Più giù, placata la furia, ti distendi a specchiare cieli trafitti da lame d'agavi, a confidare a uno squarcio d'azzurro la nostalgia di una stupefatta eternità.

mercoledì 28 ottobre 2015

CASTELMÒLA


 
CASTELMÒLA A osservarla, incastonata lassù, frughi nella memoria quale immagine di silenzio la possa definire. La solitudine sottomarina della conchiglia, ecco: la stessa immagine che forse incantò i navigatori calcidesi e li decise a fondare Nàxos ai suoi piedi.
Percorrendo le spirali a strapiombo d'una mulattiera riattata, te la trovi dinanzi, d'un tratto. Biancorosea. Palpitante come un cuore. Vigilata a distanza, tra nuvole e cielo, dall'occhio del Mostro infuocato.
La piazzetta. Le basse case. Le scalinate che spezzano il ghiòmmero dei vicoli fioriti. I balconicni avvampati da graste di gerani. Il cupo profilo del maniero sulla rocca in colloquio lunare.
Se hai degustato quel biondo vino a base di mandorle amare, a notte fonda li vedrai. Svelti, a balzi, radenti ai muri, tutti: greci, romani, bizantini, saraceni, normanni...

lunedì 26 ottobre 2015

ACI TREZZA



ACI TREZZA Dalla spiaggia nerastra di sciara, la solitudine dei faraglioni. Le barche degli sparuti Bastanazzi ormai fanno soltanto folklore. Ai tavoli dei bar, i ragazzi fumano e bevono birra, parlano in lingua, dicono “ciao!” ai genitori.
In altri tempi, si diceva al padre: “Vossìa mi benedica!”. Anche il servo diceva: “Vossìa mi benedica” al padrone. Pare strano, ma gli sfruttati, i diseredati, i “vinti” imploravano, in tutte le ore della giornata, larghe benedizioni dai loro “signori”.
Vossìa mi benedica” era un saluto come un altro. Il “baciamo le mani!” di Salvatore Quasimodo al vecchio padre, invece, voleva essere rievocazione di antichi affetti familiari da parte “di quel ragazzo che fuggì di notte con un mantello corto / e alcuni versi in tasca”. Anch'esso, tuttavia, non è che un ricordo.
Ben poco è rimasto della Trezza di Verga. Le auto ostruiscono i vicoli degli ex pescatori e i giovanotti scorrazzano sul lungomare a cavallo di indiavolate motorette. Uno stereo, chissà da dove, diffonde a tutto volume un assordante tam-tam e due bionde stangone teutoniche in pantaloncini e reggiseno attraversano a braccetto la piazzuola assolata. Un mondo è finito con la “casa del nespolo”: meglio così!