lunedì 26 ottobre 2015

ACI TREZZA



ACI TREZZA Dalla spiaggia nerastra di sciara, la solitudine dei faraglioni. Le barche degli sparuti Bastanazzi ormai fanno soltanto folklore. Ai tavoli dei bar, i ragazzi fumano e bevono birra, parlano in lingua, dicono “ciao!” ai genitori.
In altri tempi, si diceva al padre: “Vossìa mi benedica!”. Anche il servo diceva: “Vossìa mi benedica” al padrone. Pare strano, ma gli sfruttati, i diseredati, i “vinti” imploravano, in tutte le ore della giornata, larghe benedizioni dai loro “signori”.
Vossìa mi benedica” era un saluto come un altro. Il “baciamo le mani!” di Salvatore Quasimodo al vecchio padre, invece, voleva essere rievocazione di antichi affetti familiari da parte “di quel ragazzo che fuggì di notte con un mantello corto / e alcuni versi in tasca”. Anch'esso, tuttavia, non è che un ricordo.
Ben poco è rimasto della Trezza di Verga. Le auto ostruiscono i vicoli degli ex pescatori e i giovanotti scorrazzano sul lungomare a cavallo di indiavolate motorette. Uno stereo, chissà da dove, diffonde a tutto volume un assordante tam-tam e due bionde stangone teutoniche in pantaloncini e reggiseno attraversano a braccetto la piazzuola assolata. Un mondo è finito con la “casa del nespolo”: meglio così!

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